Avrete notato che sempre più spesso si associano nomi di grandi colossi della moda alla sostenibilità. Quasi tutti affermano di impegnarsi a creare una moda più sostenibile con delle capsule collection, in sostanza una piccola collezione tra le tante che producono durante l’anno. Grandi marchi come H&M, Zara e il fast fashion in genere producono fino a 24 collezioni in un anno, è un po’ difficile pensare che una piccola linea sostenibile possa avere un grande impatto sul totale della produzione.
E poi, sostenibile in che senso? In linea di massima l’impegno di queste aziende si limita a realizzare alcuni capi in cotone biologico o in materiali derivanti dalle plastiche riciclate, in alcuni casi si può trovare anche qualcosa in Tencel, ma finisce lì. Va ricordato che sostenibili devono essere anche le condizioni dei lavoratori e i loro stipendi, l’impegno nei confronti dell’ambiente deve essere rivolto alla produzione e allo smaltimento, non può essere certo sufficiente usare solo tessuti meno inquinanti.
Alcuni forse penseranno che acquistare capi sostenibili presso una di queste grandi aziende possa essere “meglio di niente”, ma io su questo sono categorica: il fast fashion e tutte le azioni di greenwashing vanno boicottate. Le stesse aziende che oggi si impegnano a diventare green nell’arco di pochi anni, hanno contribuito a rendere questo pianeta totalmente inquinato assumendo pratiche poco etiche, affidandosi a laboratori fatiscenti dove i lavoratori vengono licenziati se scioperano, dove ogni giorno inalano sostanza tossiche per realizzare l’ultimo jeans alla moda e collezioni sempre nuove a ritmi stremanti.
La dignità umana dove è finita? Siamo diventati improvvisamente tutti ambientalisti, ma non ci interessa se a realizzare questi capi sono persone che rischiano la vita ogni giorno per lavorare? Badate bene, io all’ambiente ci tengo tantissimo e ho rinunciato al fast fashion anche per questo, ogni giorno dò il mio contributo alla mia città ripulendo parchi e strade, ho smesso di usare plastica il più possibile e faccio tutto quello che è in mio potere per avere un impatto minimo sull’ambiente. Ma la dignità delle persone per me è fondamentale, non posso più pensare di indossare un capo nato dalla sofferenza altrui. So che non è facile ragionare in questo modo (io per prima ho smesso di contribuire a tutto ciò solo da un anno), ma è davvero doveroso lanciare un messaggio forte a queste aziende. Per farlo è necessario boicottarle optando per marchi davvero sostenibili e che si impegnano a migliorarsi non solo perchè la domanda sta cambiando (come nel caso delle aziende della grande distribuzione), ma perchè per esse è un vero valore.
Mentre scrivevo questo post ho dato un’occhiata ai siti di alcuni marchi della grande distribuzione che ora dicono di volersi impegnare per l’ambiente. Alcuni sono un po’ troppo vaghi, mentre invece H&M, il brand low cost per eccellenza, sta facendo molto marketing su questo tema, così ho letto con molta attenzione i loro buoni propositi. Sono certa che un consumatore poco attento possa cadere facilmente nella trappola del greenwashing che stanno adottando perchè sembra stiano facendo davvero molto per l’ambiente. Qualcosa però stona…ad un certo punto nella descrizione dei capi si legge questa frase: “Crediamo che una maggiore trasparenza contribuirà a guidare il cambiamento verso un futuro più sostenibile. Come primo passo in questo impegno a lungo termine, ove possibile, dichiariamo come e dove vengono realizzati i nostri prodotti“. Perchè mai dovrebbero esserci dei casi in cui l’azienda non sia in grado di dichiarare come e dove vengono realizzati i capi che spacciano per sostenibili? Questo è il greenwashing di cui si parla tanto ed è da questo meccanismo che dobbiamo allontanarci. Abbiamo il diritto di sapere dove e come vengono prodotti i capi, specialmente se vengono etichettati come sostenibili.
Non facciamoci fregare: impariamo a riconoscere la vera la moda sostenibile!
- immagine di copertina: hm.com
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